Caro Diego, lo so che appartieni alla schiera dei geni dannati, di coloro che sono nati per dare un piacere immenso a tutti gli esseri umani, perché dotati di un'aura mistica sovrannaturale che il buon Dio, ogni tanto, dà ad alcuni eletti. Il problema è che un briciolo di normalità proprio non te la vuoi dare. Hai bisogno di bruciare fino in fondo e consumarti fino all'ultimo brandello. Forse è così che deve andare. D'altronde chi è stato il numero uno, il più grande di tutti, non può accettare una vita di secondo piano, ed è per questo motivo che, in un modo o nell'altro, cerca di farsi da parte.
Chi non è napoletano o argentino non potrà mai capire perché si arriva ad adorare e a mitizzare una persona in questo modo; basti pensare che, da quando lui ha lasciato il Napoli, il mio interesse per il calcio è finito completamente. Fino al 1991 sapevo vita e morte del calcio italiano, oggi non so nemmeno chi ha vinto lo scudetto l'anno scorso. Non è retorica o l'ipocrisia del "vi seguo quando vinciamo e va tutto bene", è un amore sconfinato per colui che ha permesso di riscattare un popolo intero dopo secoli di ghettizzazione ed emarginazione. Tra il 1984 ed il 1991 Napoli è divenuta il polo calcistico di riferimento per tutt'Italia. Ricordo che all'epoca frequentavo le scuole superiori ed i primi due anni dell'ITIS li ho fatti vicino al Centro Paradiso a Soccavo dove sia allenava il Napoli; sono ancora vivi in me i ricordi dei filoni fatti a scuola per scappare a vedere gli allenamenti, attraversando le terre dei contadini confinanti che ci minacciavano con i cani, per scavalcare le recinzioni e seguire gli allenamenti.
"Il più grande campione che ho visto giocare è Diego Armando Maradona. Credimi, figlio mio, non esisterà mai più, nei secoli dei secoli, un altro come lui. Ha fatto dell'imperfezione la perfezione. Piccolo, gonfio, dedito ad albe stanche, svogliate e sbagliate, vittima di falsi amici e della volontà di andare oltre ogni regola, Maradona ha trasformato un semplicissimo pallone di cuoio in uno scrigno di bellezza."
Darwin Pastorin - Lettera a mio figlio sul calcio
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