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sabato 31 maggio 2008

Gli smemorati


Siamo un paese di smemorati, non ce ne frega niente di quello che succede attualmente figuriamoci se potremo mai indignarci per quanto successo 20 o 30 anni fa.
L'altro giorno ho visto, nel giorno dell'anniversario della morte di Giovanni Falcone, un'intervista a dei ragazzi che uscivano da una scuola milanese ed un paio di loro non avevano minimamente l'idea di chi fosse Giovanni Falcone.
Non c'è memoria perché la memoria è inutile.
D'altronde come ci ricorda il "De Mauro" la memoria è facoltà della mente umana di conservare, ridestare in sé e riconoscere nozioni ed esperienze del passato.
Oggi a chi frega del passato?
Si vive nel presente in una tristezza perenne per una qualità di vita del passato che non c'è più (ecco dove si pensa al passato), senza capire che per fare quel tipo di vita ci siamo indebitati fino all'osso del collo ed ora stiamo iniziando a saldare il conto.
Siamo un paese vecchio e malandato che non ha più bisogno di eroi ma solamente di intitolare le strade a personaggi del passato che i nostri bei politici ritengono degni di gloria.
Non c'è da arrabbiarsi e tantomeno da indignarsi, è l'Italia che va così, perché noi italiani siamo così, preferiamo demandare, abbiamo bisogno di qualcuno che ci gestisca, che risolva i nostri problemi e quindi che pensi al posto nostro. Se il ragionamento fila dritto allora non abbiamo bisogno di memoria, basta quella che oggi ci raccontano Alemanno, Berlusconi, Veltroni, Di Pietro e la sinistra radicale (a proposito ma dov'è?).
Probabilmente oggi l'unica forma di sovversione è rimasta annidata tra i libri perché solamente lì ormai possiamo esprimerci liberamente e tentare di mantenere vivo il ricordo.

Che cosa e', allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so.
Sant'Agostino

venerdì 30 maggio 2008

Almirante (continua)

In molti hanno scritto dell'Almirante antisemita e dell'Almirante massacratore repubblichino, ben pochi invece si sono soffermati sul fatto che Giorgio Almirante fu amnistiato solo perché ultrasettantenne dal reato di favoreggiamento aggravato agli autori della strage di Peteano, nella quale tre carabinieri furono fatti saltare in aria.

Giorgio Almirante, il grande statista al quale Gianfranco Fini rende omaggio e Gianni Alemanno vuol dedicare una strada romana, per la legge italiana è dunque un terrorista complice dell'assassinio di tre carabinieri. Ecco tutta la storia.

Il 31 maggio 1972, in Peteano di Sagrado, in provincia di Gorizia, mentre in televisione trasmettevano Inter-Ajax, morirono dilaniati in un attentato il brigadiere Antonio Ferraro di 31 anni e i carabinieri Donato Poveromo e Franco Bongiovanni di 33 e 23 anni. Rimasero gravemente feriti il tenente Francesco Speziale e il brigadiere Giuseppe Zazzaro.

Nonostante i morti fossero tre poveri carabinieri, immediatamente una cortina di depistaggi fu elevata per coprire i responsabili. Come per Piazza Fontana si diede per anni la colpa ai rossi; la strategia della tensione serviva per quello e funzionava così. pateano_3Tra i principali depistatori vi fu il generale Dino Mingarelli, condanna confermata in Cassazione nel 1992 per falso materiale ed ideologico e per soppressione di prove, e il generale piduista Giovanbattista Palumbo, che all'epoca era comandante della divisione Pastrengo di Milano e che aveva competenza su tutto il Norditalia, che inventò la pista rossa di sana pianta. Per difendere gli assassini di tre carabinieri, due dei maggiori in grado dell'arma delle vittime, per anni ne fecero di tutti i colori, manomettendo e facendo sparire le prove, come si legge nelle sentenze e come racconta benissimo il giudice Felice Casson in un libro intervista che uscirà in futuro.

La strage avvenne a 15 giorni dall'omicidio Calabresi e tre settimane dopo le elezioni politiche del 7 maggio nelle quali l'MSI era cresciuto fino all'8.67%, massimo storico e ad un passo dal PSI. I colpevoli materiali della strage, condannati all'ergastolo con sentenza definitiva, erano gli iscritti all'MSI friulano Carlo Cicuttini e Vincenzo Vinciguerra insieme ad Ivano Boccaccio, ucciso pochi mesi dopo i fatti in uno strano tentativo di dirottamento aereo all'aeroporto di Ronchi dei Legionari. Con Peteano c'entrano tutti, i vertici dei carabinieri, l'MSI (al quale erano iscritti tutti i terroristi) la P2, Gladio, i servizi italiani e la CIA nel pieno della strategia della tensione. Destabilizzare per stabilizzare.

Per trappolare la 500 di Peteano furono usati materiali di Gladio conservati ad Aurisina e tecniche che venivano insegnate alla Folgore a Pisa. Risoltosi il problema di Boccaccio, restavano Cicuttini e Vinciguerra. Abbiamo già detto che la strategia della tensione serviva a destabilizzare per stabilizzare e proprio l'MSI la stava capitalizzando, come il voto del 7 maggio aveva appena dimostrato. E quindi i camerati andavano salvati. E qui interviene il nostro. Dopo la morte di Boccaccio a Ronchi, Vinciguerra e Cicuttini, segretario dell'MSI a San Giovanni a Natisone, in provincia di Udine, che faceva i comizi con Giorgio Almirante, nonostante non fossero ancora stati inquisiti per Peteano (le piste fasulle staranno in piedi per anni), si erano comunque resi latitanti. Latitanza dorata nella Spagna di Francisco Franco, dove il loro punto di riferimento era Stefano delle Chiaie e dove con questo si dedicavano al traffico d'armi. Cicuttini sposò perfino la figlia di un generale. C'era un solo punto debole del piano: la voce di Cicuttini registrata sia nei comizi dell'MSI sia nella telefonata con la quale Cicuttini attirò i carabinieri nella trappola a Peteano.

E fu proprio Giorgio Almirante, il fascista in doppio petto, quello rispettabile, quello con il senso dello Stato, a proteggere l'autore della strage di Peteano fino a mandargli 34.650 dollari statunitensi in Spagna proprio per operarsi alle corde vocali. Ciò è processualmente provato. Almirante consegnò personalmente i soldi all'avvocato goriziano Eno Pascoli che li fece avere a Cicuttini a Madrid, via Svizzera. Almirante e Pascoli, incriminati per favoreggiamento dell'autore della strage di Peteano furono rinviati a giudizio insieme. Ma mentre Pascoli sarà condannato, la condanna di Almirante seguirà un corso diverso. Il capo dell'MSI godeva infatti dell'immunità parlamentare dietro la quale si trincerò perfino per evitare di essere interrogato. La tirò avanti per anni di battaglie nelle quali non fu mai in dubbio la sua colpevolezza, finché non intervenne un'amnistia praticamente ad personam, della quale beneficiava solo in quanto ultrasettantenne. Giorgio Almirante, l'uomo d'ordine, dovette chiedere per sé l'amnistia perché il dibattimento lo avrebbe condannato e ne beneficiò (mentre il suo complice fu condannato) per il reato di favoreggiamento aggravato degli autori (militanti e dirigenti del suo partito) di un attentato terroristico nel quale vennero uccisi tre carabinieri. Non si parla di violenza politica o di strada, di giovani di destra e sinistra che si fronteggiavano e a volte si ammazzavano; stiamo parlando del peggiore stragismo. Dedichiamogli una strada, lo merita: Via Giorgio Almirante, terrorista.

mercoledì 28 maggio 2008

Gianfranco Fini: il peggior presidente della Camera


Ritorno a scrivere dopo qualche tempo, e lo faccio con un breve commento sul nuovo presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini.
A torto (secondo me) considerato un buon politico, il Fini sta dando il peggio di sè come presidente dell'Assemblea dei Deputati. Dopo aver lasciato che un esponente della minoranza (Di Pietro) venisse insultato e che gli venisse impedito di parlare perchè, a suo giudizio, diceva "fesserie", il nostro eroe ha elogiato pubblicamente il suo maestro di un tempo, Giorgio Almirante. Peccato che l'antico segretario del MSI abbia a più riprese espresso opinioni razziste ... e allora ecco che il nostro eroe fa l'ennesima giravolta, "parole vergognose" ...
Non c'è dubbio, peggio di Fini non era nemmeno la Pivetti!

venerdì 23 maggio 2008

Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 – Palermo, 23 maggio 1992)

"Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell'esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell'amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere."

Medaglia d'oro al valor civile
«Magistrato tenacemente impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata, consapevole dei rischi cui andava incontro quale componente del 'pool antimafia', dedicava ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la sfida sempre più minacciosa lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Proseguiva poi tale opera lucida, attenta e decisa come Direttore degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio delle Istituzioni.»— Palermo, 5 agosto 1992

Passeggiata cazzeggio nella pausa pranzo


Nella pausa pranzo oggi, anziché restare in ufficio (cosa che negli ultimi giorni ho fatto sempre qui a Latina a causa del maltempo), me ne sono andato a fare un giretto per il centro approfittando della giornata soleggiata. Ho scoperto una città nuova, un po' surreale, poiché alle 14.00 non c'era nessuno per strada e c'erano i carabinieri nella piazza centrale (Piazza del Popolo) che allestivano il palco per il XIX raduno dei Carabinieri che si terrà domenica 25.
Mentre passeggiavo riflettevo e contemporanemente guardavo questi luoghi. A molti Latina non piace eppure architettonicamente è molto bella. E' una città fascista quindi soffre di pregiudizi storici, ma, se riusciamo a liberarci delle solite etichette che ormai rappresentano uno sport nazionale, scopriremo una città viva e moderna il cui unico cruccio è la totale assenza di collegamenti (per arrivare da Cassino la mattina impiego 2 ore!).
"Oggi la terra è qui , a mezz’ora soltanto di distanza dalla capitale. E qui che noi abbiamo conquistato nuove provincie, è qui che abbiamo condotte delle vere e proprie operazione di guerra. E’ questa la guerra che noi preferiamo. Ma occorre che tutti ci lascino intenti al nostro lavoro che non si vuole che noi applichiamo in altro campo quella stessa energia, quello stesso metodo."
Benito Mussolini (Discorso per l'inaugurazione della città di Littoria 1932)

martedì 20 maggio 2008

Commenti sul New Italian Epic di Valerio Evangelisti e Carlo Lucarelli


[Questo intervento di Valerio Evangelisti compare su L'Unità di oggi, martedì 6 maggio 2008, accompagnato a una recensione del romanzo di Massimo Carlotto Cristiani di Allahscritta da Michele De Mieri, in cui si fa esplicito riferimento alla poetica di cui stiamo discutendo. In calce a questo post riportiamo anche l'articolo di Carlo Lucarelli apparso suRepubblica di sabato 3 maggio.]
Wu Ming 1, prima con una serie di conferenze tenute al MIT di Boston e in altre università americane, poi con un saggio che sta avendo ampia circolazione in rete ("New Italian Epic"), sta contribuendo a dare forma e identità a scrittori che avevano un'oscura percezione di qualcosa che li legava, senza peraltro sapere cosa fosse esattamente. Scrittori di generazioni diverse, apparsi a partire dalla metà degli anni Novanta, spesso gratificati da un successo di pubblico (e, talora, di critica) apparentemente inspiegabile, nell'epoca in cui si teorizzava la fine del romanzo e in cui il post-moderno, nel riesumarne il cadavere, lo faceva per coprirlo d'ironia - dunque, in sostanza, per affrettarne il seppellimento.Qualche nome e qualche titolo fatti da Wu Ming 1? Giancarlo De Cataldo con Romanzo criminale eNelle mani giuste, Giuseppe Genna con Grande Madre Rossa, Dies Irae e Hitler, Antonio Scurati con Una storia romantica, chi scrive con il suo "ciclo del metallo", gli stessi Wu Ming / Luther Blissett con Q, 54, Manituana, Roberto Saviano con Gomorra (oggetto narrativo di collocazione incerta, nelle sue forme di reportage iperrealista, da troppi ascritto per abbaglio al filone giornalistico), Carlo Lucarelli con L'ottava vibrazione, Girolamo De Michele con Scirocco, ecc. E poi Zaccuri, Philopat, Babsi Jones, Helena Janeczek, il Camilleri de La presa di Macallè, il Carlotto diCristiani di Allah, e decine d'altri.
Gli elementi unificatori, tra costoro che certo non costituiscono una "scuola", e spesso nemmeno si conoscono reciprocamente? Una certa avversione alla post-modernità e alla sua sistematica presa di distanze, l'amore per narrazioni partecipate e pulsanti, l'empatia narratore/lettore tipica del romanzo classico, l'indifferenza alle barriere tra i generi (e tra i generi e la letteratura "alta"), la predilezione per "grandi storie" – epiche, appunto – capaci di proiettarsi fuori del contesto e, nei toni del dramma, della tragedia, della metafora, riflettere su temi salienti della contemporaneità, dei suoi antecedenti, dei suoi sviluppi.
L'esempio di ciò è proprio nel testo meno facilmente identificabile, Gomorra, che pare assimilato al New Epic solo per conferirgli nobiltà, sull'onda di un successo di massa. In realtà Gomorra, che tutto è salvo che un piatto reportage di strada, fa un discorso che sarebbe piaciuto molto a Jean-Patrick Manchette: la criminalità non è un elemento sussidiario del capitalismo, una sua perversione. Al contrario, ne rappresenta il cuore, un pilastro strutturale. Osando paradossi, senza criminalità l'intero sistema crollerebbe, la finanza affonderebbe per il cedimento di una delle sue colonne (da cui si vede quanto sia fuori strada Nanni Balestrini che, in una sua intervista recente su "La Stampa", vede in molti romanzi recenti un'attenzione monomaniacale e gratuita per il delitto). Tesi da discutere, certo, però l’oggetto sconosciuto – reportage o romanzo? – nella sua coralità si riallaccia all'epica, priva in questo caso di eroi e tuttavia capace di inglobare un mondo intero. Manchette, nel commentare l'opera del suo maestro Hammett, aveva già raccomandato narrazioni del genere.
In casi meglio decifrabili, Hitler, Manituana e altri, la portata epica dell'assunto è evidente. Ci si aggrappa alla storia, la si prolunga, la si estende a problematiche attuali. Il procedimento è totalmente diverso da quello di Gomorra o di Sappiano le mie parole di sangue di Babsi Jones. Tuttavia l'esito è lo stesso, quello che in passato definii "massimalista". Parlare per sistemi, quadri storico-geografici, visioni di società intere, empiti cosmici. Si può ricorrere alle forme della narrativa avventurosa, purché l'esito sia raggiunto: fare riflettere, in via realistica o metaforica, sulla percezione collettiva di una quotidianità alienata. E' ciò che gli autori del New Italian Epic cercano di fare, sebbene spesso inconsapevoli dei reciproci vincoli. In fondo, le loro opere narrative suppliscono al venire meno, in Italia, della saggistica economico-politica radicale degli anni Settanta. Ciò che i teorici delle scienze sociali, ormai appiattiti per paura sul giornalismo d'occasione, non fanno più, lo farà il racconto (non è un caso se una recensione su "Pulp", quando uscì Q di Luther Blissett, lo paragonò per importanza a un classico dei Settanta,Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale di Stefano Merli). E sarà popolare, per raggiungere chiunque come un pamphlet. Noir, horror, fantascienza, romanzo d'avventura, thriller. Ma più spesso tutto questo assieme, e altro ancora. La base comune è la forza delle storie, il loro dilatarsi su dimensioni epocali.
Quando questo tipo di letteratura prende corpo, a metà degli anni Novanta, sta per esplodere il fenomeno del genere "pulp", poi denominato, grazie a una fortunata antologia, dei "cannibali". E' creazione di un piccolo gruppo di critici letterari che vede, in alcuni giovani narratori, un prolungamento delle esperienze del Gruppo '63. Sono scrittori caratterizzati dalla fusione di materiali "nobili" con materiali "vili", e compongono storie in cui, assieme alla "mescolanza di generi", pulsano le istanze del quotidiano: onnipresenza della televisione e dei suoi più squallidi programmi, manga, pubblicità, prodotti da supermercato, televendite; il tutto al servizio di storie horror o anche solo drammatiche. E' un passo molto importante per la nostra narrativa, solo che la compagine non regge. Divenuta persino oggetto di satire televisive, scoppierà tra le mani di chi l'ha creata e sovrarappresentata. Se ne libereranno individualità distinte, che il gruppetto dei critici aveva cercato a forza di tenere assieme: Niccolò Ammaniti, Tiziano Scarpa, Isabella Santacroce, Aldo Nove ecc. Ognuno proiettato verso destini individuali, spesso gloriosi. Altri consegnati all’oblio o alla marginalità. Erano comunque loro, illustri o meno, i veri post-moderni, allievi di Arbasino e di Tondelli.
Coeva a questa esperienza, quello che Wu Ming 1 chiama New Italian Epic non ha, quando nasce, ancora un nome. Sforna romanzi a lunga gittata, bada alla solidità, scommette sul lungo periodo. Mattone su mattone, si conquista lettori fedeli: non solo in Italia, ma un po' in tutto il mondo. Usa sistematicamente un mezzo di cui i "pulp", malgrado la loro apparente modernità, sono poco pratici: Internet. Non a fini meramente pubblicitari, ma per amplificare la valenza dei loro temi, e farne discutere. E per prolungare la narrativa in ambiti mediatici che normalmente un letterato schifava. Gli apologeti del "libro-che-nessuno-conosce-e-pertanto-è-bello", i fondatori di mode letterarie dei supplementi ai grandi quotidiani, sono serviti. Un giornale tra i maggiori può vendere 700.000 copie, un sito web può eguagliarlo e, in sinergia con altri, essere molto più letto.
Chiaramente non è questo ciò che conta. Conta molto di più intercettare un pubblico insoddisfatto dal racconto intimista, dai piccoli problemi di piccola gente, dai bozzetti senza significato, da storie di tradimenti in provincia o tra artisti romantici e melensi. L'equivalente letterario delle peggiori canzonette di Sanremo.Con il New Italian Epic è l’opera lirica che, silenziosamente, fa ritorno, e travolge canzoni, operette e musica da camera. Senza pretendere di annullare altri stili, né desiderosa di competere con loro, però conscia della propria identità e finalmente decisa a non lasciarsi prendere sottogamba.
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CARLO LUCARELLI SUL NEW ITALIAN EPIC
Un giorno ho visto una fotografia d'epoca coloniale che raffigurava insieme soldati italiani e abissini e mi sono accorto che dovevo tenere a freno il mio immaginario perché non li trasfigurasse e reinterpretasse istintivamente in Apache di Toro Seduto e giacche blu del 7º Cavalleria. Poi mi sono accorto che ne sapevo molto di più della battaglia di Little Big Horn che di quella di Adua e che avrei saputo declinare tutte le trasformazioni del generale Custer – dall'eroe con i capelli biondi di quando ero piccolo all'assassino di bambini di Piccolo Grande Uomo – ma che Vittorio Bottego – con una biografia degna di un Kurtz conradiano – restava solo una statua che dominava il piazzale in cui sono nato, a Parma. E allora mi sono chiesto perché rinunciare a tutto questo, ad un patrimonio di narrazione proiettato nel passato, nel futuro e anche in un presente da perforare con un carotaggio narrativo da pozzo petrolifero.Per questo raccolgo con entusiasmo ed enorme interesse le riflessioni dei Wu Ming sulla Nuova Epica Italiana, riconoscendomi praticamente in molte delle loro considerazioni. Praticamente, dico, nel senso di una prassi letteraria, di una ricerca fatta di libri e di romanzi che da parte mia e da quella di altri colleghi cerca di raccogliere il fascino della frontiera, della sfida con un nuovo far west.Una nuova frontiera che non è soltanto fisica (nuove ambientazioni, nuovi mondi da creare ed esplorare), e non è soltanto narrativa (nuove trame, nuove avventure, diverse tecniche di montaggio, temi ed emozioni estreme) ma è anche stilistica (parole nuove, nuove costruzioni, nuove costruzioni in quelli che i Wu Ming chiamano i romanzi mutanti).Una narrativa di ampio respiro per raccontare e interpretare il mondo, con un linguaggio nuovo e concreto, come a suo tempo fecero gli scrittori del Grande Romanzo Americano per raccontare le contraddizioni e le trasformazioni del loro paese.Anche attraverso la storia, che per noi italiani non essendo mai passata è sempre attuale e presente (mi autocito anche io con falsa modestia con la mia Ottava Vibrazione), anche attraverso la narrazione della quotidianità nascosta della camorra di Saviano, o degli italian tabloid di De Cataldo, o l'epica mutante di Wu Ming, solo per citare qualcuno.La cosa bella è che, come dice Wu Ming, tutto questo sta già accadendo da un pezzo, con tanti autori e con tanti libri che tutto questo già lo fanno in una ricerca che non si ferma a contemplarsi l'ombelico dei risultati raggiunti ma si mette in gioco ogni volta in un modo più alto e più impegnativo. Per questo, anche se le definizioni critiche non sono così importanti, quella di New Italian Epic non è un´etichetta inventata a tavolino.E' una sfida che personalmente ho raccolto con passione. Una corsa nella prateria di un nuovo far west che si apre con possibilità entusiasmanti ed infinite. Chiamatela Nuova Epica Italiana, narrativa di ampio respiro, grande romanzo italiano, chiamatela come volete, i nomi – ripeto – non sono importanti. L'importante è proprio la sfida, il desiderio, per chi se la sente e ne ha voglia, di mettersi a correre verso una nuova frontiera.Concludo con una considerazione di cui magari non c'è affatto bisogno ma che io faccio lo stesso.In ogni caso chiunque è libero di scrivere quello che gli pare. Sembra una cosa ovvia, ma dal punto di vista letterario noi siamo il paese dei manifesti, del romanzo è morto, delle etichette programmatiche che spesso nascono sul nulla dalla fantasia delle redazioni culturali dei giornali o degli uffici stampa delle case editrici. Le etichette si conquistano sul campo, arrivano dopo a spiegare quello che già esiste e diventano parte integrante del suo movimento. E chiunque, dal più intimo minimalista al giallista più classico, se scrive con sincerità, è altrettanto utile e importante.

domenica 18 maggio 2008

New Italian Epic


La settimana scorsa ho letto il pamphlet di Wu Ming 1 sul New Italian Epic, ossia la nuova narrativa italiana italiana che ha caratterizzato l'ultimo decennio e che accomuna diversi autori italiani che apparentemente non hanno nulla in comune.
Dei vari autori citati ne ho letti diversi e devo dire che effettivamente sembra esserci una linea sottile e impercettibile che accomuna romanzi come "Q" di Luther Blisset (alias Wu Ming), "La Presa di Macallè" di Camilleri, "Romanzo Criminale" di De Cataldo oppure "Gomorra" di Saviano.
Dal mio punto di vista (da lettore molto ignorante) è una mescolanza tra allegoria dei tempi attuali e la storia passata, che si fondono in un continuum spazio-tempo e che tramite la letteratura ci fa vedere come in ogni luogo e in ogni tempo si verificano sempre le stesse storie essendo i protagonisti sempre degli uomini.
Qui si può leggere il pamphlet completo.

venerdì 9 maggio 2008

Perché Mara Carfagna non è stata nominata ministro dei trasporti?

Mi domando perché Mara Carfagna non sia stata nominata ministro dei trasporti...

Presentandosi così risolverebbe immediatamente tutti gli scioperi istantaneamente.

Lo so che sono il solito maschilista ma una ministra così mi fa tornare in mente una certa "Pretora" di alcuni anni fa...

"Si lavora e si fatica per la pancia e per la fica"