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mercoledì 28 febbraio 2007

E' fatta, ci risiamo, ma siamo sicuri?


Sembrerebbe che il prodino nazionale ce l'abbia fatta al senato...
non ha dovuto fare nemmeno una seduta spiritica per resuscitare i senatori a "quasi" vita...
adesso il governo potrà proseguire per altri nove mesi...
almeno fino alla prossima votazione sull'Afghanistan...
adesso può ricominciare a metterci le mani nelle tasche...
ho sempre più sonno...
meglio che me ne vada a letto a vedere Sanremo...

"Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti."
Ettore Petrolini.

domenica 25 febbraio 2007

Il Tenente Giovanni Drogo ed il senso della vita...


Oggi sono andato da mia sorella a trovare il mio nipotino e l'ho preso in braccio per la prima volta. E' stata una bella sensazione prendere quel fagottino e coccolarlo, anche perché era tranquillissimo e mi guardava con quel senso di curiosità e smarrimento di chi è appena arrivato in un posto e non sa da dove viene e cosa deve fare.
Per una contemporanea casualità in TV oggi pomeriggio al programma televisivo "Per un pugno di libri" su Rai Tre uno dei due libri oggetto del gioco era "Il Deserto dei Tartari" di Dino Buzzati.
Dino Buzzati lo ritengo uno dei migliori scrittori italiani, sicuramente il migliore del suo tempo. Mi ha aiutato a crescere quando avevo un'eta molto critica, dagli 11 ai 13 anni, attraverso due testi fondamentali che il mio professore della scuola media aveva adottato come libri di narrativa: "Marcovaldo" e "Il Colombre e altri racconti".
Le sue storie hanno un profondo senso pedagogico, ci insegnano ad essere degli uomini ed a confrontarci con la realtà alienante di tutti i giorni.
Tuttavia "Il Deserto dei Tartari" è il libro che più si addice alla giornata odierna.
Solo poche parole su questo capolavoro che basta, da solo, a inscrivere Buzzati tra i più grandi narratori del '900, vicino a Kafka. ll suo romanzo è uno sguardo sull'ineluttabilità del tempo che scorre e sulla solitudine, forse anch'essa ineluttabile, dell'uomo.
Buzzati ci racconta la vita andata a male di Giovanni Drogo, inutilmente spesa nell'attesa assurda. La narrazione, dapprima lenta, accelera come un gorgo con la maturazione del protagonista, sottolineando e sostenendo il tempo non lineare, logaritmico, che fluisce insensibile e indifferente scandendo la vita del protagonista dapprima ignaro e poi tardivamente consapevole della corrente di vita e di morte che ci avviluppa. Come in Pavese, c'è nel "Deserto" un senso dell'infanzia e dell'adolescenza come età felici in cui il progetto-uomo è ancora possibile e aperto, in contrapposizione all'età matura, segnata dal tempo trascorso e dalle speranze sepolte. La morte è una presenza costante ma non cupa, non terribile. Nonostante l'assenza consolatoria di un dio o di una speranza ultraterrena, la morte è qui rappresentata come epilogo dignitoso e forse come eroico termine di tutte le sofferenze. Cupa e terribile può essere invece la vita quando ad essa non si è adatti, quando ad essa non ci si adatta.Singolare è l'uso dello spazio e del movimento come metafora: la frontiera a difesa del nulla, la fortezza in alto, che pare a volte allungarsi verso il cielo, immensa da lontano e singolarmente piccola da vicino, così come ci pare il tempo che ci separa dalla morte nelle differenti età che viviamo. Assurda è l'attesa infinita del nemico, o dell'evento che dona senso a tutta una vita, così come assurdo e quasi surreale è il fascino sottile che incatena a così inutile attesa . Surreale è ancora l'incontro moltiplicato, come attraverso un gioco di specchi, tra il vecchio capitano e il giovane tenente fresco di assegnazione: l'evento, nella sua assurdità ripetuta e assurdo nel suo ripetersi forse infinito, sottolinea una ciclicità che non può rimandarci al ciclo eterno e conosciuto di giovinezza, vecchiaia, morte.
Grande, grandissimo narratore, Buzzati tocca e scandaglia la coscienza dell'uomo moderno per lasciarci il senso dell'assurdo, la cifra del tempo e della solitudine che scontiamo, anche senza saperlo.

"Se durassimo in eterno, tutto cambierebbe. Siccome siamo mortali, molto rimane come prima."
Bertolt Brecht

venerdì 23 febbraio 2007

Un altro Italiano che se ne va...


Un altro Italiano con la "I" maiuscola se ne va. Un altro pezzo di cultura laica abbandona la società italiana sempre più alla deriva clerico-populista.
Ecco una brevissima biografica da "Repubblica" di oggi.

E' morto stamattina Giovanni Ferrara, per molti anni editorialista di "Repubblica", più volte parlamentare repubblicano, tra i più stimati intellettuali laici italiani, negli ultimi anni appassionata voce della sinistra più indipendente e critica. Ma, con la politica, la sue vere vocazioni sono state l'insegnamento e il colloquio con i giovani.

Ed è stato parlando ai giovani, sabato scorso, che si è sentito male a Pavia, nel corso di una serata della Scuola di formazione politica di "Libertà e Giustizia". Si è alzato, ha chiesto la parola e ha fatto un intervento - molto applaudito - per chiedere che la sinistra non si dimentichi degli ultimi, che abbia anzitutto a cuore il destino di chi ha una vita non facile, che non tradisca mai la sua storia. Si è seduto, ha mormorato "C'e qualcosa che non va" e ha guardato per l'ultima volta la compagna della sua vita, Sandra Bonsanti, che di "Libertà e Giustizia" è la presidente. Poi ha perso conoscenza ed è stato portato al Policlinico San Matteo dove gli è stata diagnosticata una grave emorragia cerebrale. Con lui, in questi giorni di agonia, sono sempre stati i figli Valentina e Benedetto, giornalista di "Repubblica".


Giovanni Ferrara viveva da molti anni a Firenze, in Oltrarno, ma era profondamente legato alla sua città, Roma, dove era nato nel 1928. Una famiglia che ha segnato il '900, quella dei Ferrara. Il padre Mario, avvocato e antifascista, fu collaboratore e amico di Giovanni Amendola. Il fratello Maurizio, nato nel 1921 e scomparso alcuni anni fa, inviato a Mosca e poi direttore dell'"Unità", era tra i più ascoltati collaboratori di Palmiro Togliatti. Due nipoti, Giuliano e Giorgio, sono rispettivamente fondatore del "Foglio" e notissimo polemista il primo, apprezzato regista teatrale e cinematografico l'altro.

Giovanni Ferrara dedicò invece gran parte della sua vita allo studio e all'insegnamento, soprattutto con la docenza di Storia Antica all'università di Firenze. Tra i molti saggi, i più importanti furono su Giulio Cesare e Tucidide.

Come pubblicista collaborò con il "Mondo" di Pannunzio, passando poi a "l'Espresso" di Arrigo Benedetti e di nuovo al "Mondo"quando Benedetti tentò di ridare vigore da Firenze alla storica rivista. Fu anche direttore della "Voce Repubblicana" negli anni Settanta. Amico fin dall'adolescenza di Eugenio Scalfari, dalla fondazione di "Repubblica" entrò nella squadra degli editorialisti del giornale.

Nel 1983 scrisse per la Rusconi "Apologia di un uomo laico". Negli ultimi anni ha pubblicato per Sellerio i racconti "Il senso della notte", "La visione" e "La sosta". Uscirà tra breve, postumo, un libro dedicato proprio al fratello Maurizio.

L'attività politica. Laico intransigente, fu per molti anni dirigente del Pri, vicino a Visentini e Ugo La Malfa. Nel 1991 venne eletto al Senato a Milano, subentrando a Giovanni Spadolini, nominato senatore a vita. L'anno dopo venne rieletto al Senato a Firenze, sempre per il Pri.

Nel '94 ruppe con Giorgio La Malfa, di cui era stato il più ascoltato consigliere, perché coinvolto in Mani Pulite, e si schierò più a sinistra. Entrò in consiglio comunale a Firenze, dove per il Pri restò dal 1990 al 1995, poi diventò direttore del Circolo Viesseux, una delle principali istituzioni culturali fiorentine, in qualche modo continuando l'attività di Alessandro Bonsanti, padre di Sandra, animatore della vita culturale e letteraria italiana e infine sindaco della città

Dal '96 visse per qualche anno a Livorno dove Sandra Bonsanti, per molti anni inviato e commentatore politico di "Repubblica", era stata chiamata a dirigere il "Tirreno". E sempre con Sandra ha seguito fino all'ultimo da vicino "Libertà e Giustizia", argine culturale e di movimento alla deriva berlusconiana, giudicata da Ferrara un pericoloso populismo capace di degenerare in forme di democrazia autoritaria.

"Il sole può tramontare e poi risorgere; noi, invece, una volta che il nostro breve giorno si spegne, abbiamo davanti il sonno di una notte senza fine."
Catullo

mercoledì 21 febbraio 2007

E' finita anche questa...


Oggi pomeriggio mentre il governo "fatalmente" cadeva ero casualmente a Roma ad una riunione di lavoro tra imprenditori.
Il boato con cui le persone attorno a me hanno accolto la notizia della fine del prodino nazionale ha creato un'atmosfera surreale.
Francamente sono allibito, non so più cosa pensare, il solo pensiero di ritornare nelle mani del berlusca oppure di creare una brutta copia della grosskoalitionen tedesca che riporti in auge i fasti democristiani dei grandi inciuci mi spinge a fare le valigie il prima possibile ed emigrare all'estero.
Siamo un paese di 57 milioni di pazzi il cui destino per l'ennesima volta è stato deciso dal non voto di Andreotti (con l'aggiunta di Pininfarina).
Adesso me ne vado a dormire distrutto fisicamente (per l'ennesima giornata lavorativa) e moralmente (perché anche la moralità è morta dopo la fine definitiva dell'etica).
Adesso come disse il grande Marchese del Grillo: "Sò cazzi vostri!".
Buonanotte.

martedì 20 febbraio 2007

Manituana, il mito continua...


Il 20 Marzo 2007 esce il nuovo romanzo collettivo di Wu Ming.
Per chi non li conoscesse può linkare qui a fianco ed entrare nel loro mondo.
Ritengo in assoluto che il collettivo di scrittori rappresenti ciò che di meglio il panorama letterario può offrire in campo nazionale e, forse, internazionale.
Chi non li conoscesse può iniziare leggendo "Q" il loro primo romanzo collettivo scritto con lo pseudonimo di Luther Blissett.
Nel frattempo andate a vedere il sito che hanno dedicato al nuovo libro "Manituana" Innanzitutto nel corso del 2006 hanno pubblicato una serie di "prolegomeni", ossia racconti collaterali al testo vero e proprio, che ci permettono di iniziare a conoscere il contesto storico nel quale saremo proiettati nel romanzo.
La cosa bella dei romanzi di Wu Ming è la rigorosissima precisione del contesto storico nel quale ci si muove, che costituisce un affresco fondamentale per poter capire la storia dei personaggi, il loro ruolo e le conseguenze delle azioni.
Andate su www.manituana.com

domenica 18 febbraio 2007

Paparazzi e Papa Ratzinger


Il post della giornata lo dedico al nostro beneamato pontefice, che colloco, idealmente, a 407 anni fa.
Ritengo praticamente che Papa Ratzinger avrebbe potuto esercitare tranquillamente il suo pontificato nel 1600, stante la sua completa distanza dal mondo attuale.
Fermo restando che lo ritengo uno dei più grandi teologi e filosofi contemporanei (chi è del settore ricorderà le sue mitiche discussioni su Micromega con Paolo Flores D'Arcais), non riesco assolutamente a capirlo.
Probabilmente non devo nemmeno capirlo perché lui fa semplicemente il suo lavoro di Papa, tuttavia mi piacerebbe che fosse più una guida spirituale che sociale.
Parliamoci chiaro e tondo, non abbiamo bisogno di preti che c'insegnino come vivere, piuttosto abbiamo bisogno di preti che c'insegnino ad amare e ad affrontare dignitosamente la nostra fine perché dovrebbe esserci qualcosa dopo.
Il problema è che in questa Chiesa sempre più vecchia non trovo nessuno stimolo, nessuna voglia di ascoltare, ma solo di rimestare nel vecchiume ammuffito dei dogmi.
In una società sempre più nichilista che si affanna a vivere di cose superflue ed inutili, dove anche i sentimenti ormai sono una merce da vendere, le gerarchie ecclesiastiche assumono sempre più posizioni radicali senza se e senza ma.
L'unica cosa che riescono ad ottenere è un allontanamento sempre maggiore anche dei pochi cattolici rimasti, ovviamente senza considerare i cattolici di convenienza.


"Le religioni sono come le lucciole: per splendere hanno bisogno delle tenebre."
Arthur Schopenhauer

sabato 17 febbraio 2007

407 anni e non è cambiato nulla...


Su "Repubblica" di oggi è comparso un necrologio che ricordava il 407esimo anniversario della morte di Giordano Bruno il filosofo (non il calciatore) arso vivo a Piazza Campo dei Fiori a Roma il 17 Febbraio del 1600 per aver semplicemente affermato che "Dio è in ognuno di noi".
Cosa dire... con i tempi che corrono è meglio parlare poco, ma la lieta notizia è che questo necrologio è stato pubblicato su "Repubblica" da un gruppo di allievi di un Liceo della Sardegna che si sono appassionati alla vicenda di questo grande pensatore durante le lezioni di filosofia.
Adesso non so quanto tutto ciò possa essere stato strumentalizzato da qualcuno, ma mi fa particolarmente piacere il fatto che una ventina di ragazzi si siano autotassati otto euro ciascuno (rinunciando a ricarsi il cellulare o al cinema) per ricordare questo uomo immenso che a pieno titolo annovero tra i padri fondatori della filosofia moderna.
Questo mi fa sperare che le nuove generazioni siano decisamente migliori delle precedenti e che qualcosa stia ricominciando a girare nelle teste delle persone e che la FILOSOFIA riprenda il suo ruolo di scienza guida nella nostra vita così come lo era all'epoca di Socrate quando l'Oppio dei Popoli non li aveva ancora drogati.
La cosa che mi fa tristezza è l'attualità del pensiero di Giordano Bruno, che significa 407 anni di storia passati inutilmente...

"L'ignoranza è la madre della felicità e della beatitudine sensuale."
Giordano Bruno

venerdì 16 febbraio 2007

Tempi moderni e welfare


Mi è capitato sottomano la pubblicità di un libro molto tragico, e, proprio perché tale, estremamente comico.
Il titolo è "Volevo solo vendere la pizza" Edizioni Garzanti, e l'autore è Luigi Furini, ex sindacalista, ora giornalista, ma soprattutto ex imprenditore, che ha tentato di aprire una pizzeria seguendo tutte le norme burocratiche stabilite dallo Stato italiano.
Penso di acquistare questo libro per ridere amaramente di quello che ha patito Furini e di quello che sto patendo io nel tenere in piedi una piccola attività.
Alle volte penso di essere pazzo a voler svolgere un lavoro autonomo in uno Stato che favorisce in tutti i modi quello dipendente.

Segue la prefazione al testo di Marco Travaglio.

Questo libro potrebbe intitolarsi, parafrasando Totò, "Poi dice che uno si butta a destra". È la storia di un ex giovane maoista, ex sindacalista della Cgil, che fa il giornalista e a un certo punto decide di investire un gruzzolo di risparmi mettendo su una micro-pizzeria da asporto nella sua città, Pavia. E scopre suo malgrado l'altra faccia dello stato sociale e del sindacato: quella che premia chi cerca il posto, non il lavoro. E punisce inflessibilmente chi ha voglia di fare. Gigi Furini, autore e protagonista di queste avventure fantozziane, le racconta con delicatezza e ironia. Ma alla fine il suo ritratto del nostro Welfare straccione è folgorante e impietoso, politicamente scorrettissimo proprio perché molto più autentico e realistico di qualunque trattato socioeconomico. 'Volevo solo vendere la pizza' è vivamente consigliato ai politici e ai sindacalisti che vogliano guardarsi allo specchio e uscire dal loro polveroso Jurassic Park. Ma anche ai politologi che s'interrogano sul "malessere del Nord".

Dunque Gigi affitta a Pavia un locale di 30 metri quadri a 1.200 euro al mese, e si mette al lavoro. S'iscrive alla Camera di commercio, acquista il forno, i macchinari e gli arredi, rinnova gli impianti perché siano a norma, si dota di tutto l'armamentario per la sicurezza, passa ore e ore fra commercialisti, avvocati, consulenti, Asl, uffici pubblici. Non vede l'ora di sfornare la prima pizza, ma quell'ora sembra non arrivare mai. Passano i giorni, e il piccolo imprenditore Gigi si trova risucchiato in un tunnel degli orrori senza fine, roba da far impallidire i più vieti luoghi comuni sulla burocrazia all'italiana. Il mondo di Gogol e Kafka è uno scherzo, al confronto. Obblighi, autorizzazioni, carte, bolli, spese, certificati, ispezioni, permessi, multe, leggi, regolamenti, cavilli, manuali, corsi di formazione e soprattutto sigle. Tante sigle, perlopiù incomprensibili. C'è per esempio il corso Haccp (Hazard Analysis and Critical Control Points), che ricorda vagamente il socialismo reale, invece insegna a distinguere le mozzarelle dai detersivi e a numerare le trappole per topi. Ed è solo il primo di una lunga serie, perché prim'ancora che Gigi apra il suo negozietto c'è già qualche decina di persone che vive alle sue spalle. Cioè campa su una serie di prescrizioni che "se non ottemperi, rischi di prendere la multa". Dunque, terrorizzato, ottemperi. Il medico che deve valutare i rischi per i futuri lavoratori si porta via mille euro per un sopralluogo di dieci minuti e una relazione prestampata. E altre migliaia di euro per tenere corsi su corsi, uno più tragicomico dell'altro. Le lezioni di Rssp (prevenzione e protezione) svelano agli attoniti studenti come si appoggia una scala al muro, come si spostano le sedie e soprattutto che cosa s'intende per "luoghi bagnati": la normativa considera tali "anche gli spazi aperti dopo le precipitazioni atmosferiche fino al ritorno dello stato asciutto". Al corso antincendio si sconsiglia di "usare materiale infiammabile per spegnere le fiamme" e si apprende che "il legno brucia più facilmente quando è secco"; quando è umido, invece, "con più difficoltà". Roba forte. Mai come le lezioni di primo soccorso, che insegnano un sistema tutto speciale per fronteggiare "gli eventi avversi". Quale? "Chiamare il 118 da qualunque telefono fisso o cellulare, senza comporre il prefisso", avendo cura di "specificare città, paese o frazione, via e numero civico del luogo della chiama", altrimenti l'ambulanza non sa dove andare e non arriva.


La prima pizza non s'è ancora vista, e il piccolo imprenditore Gigi ha già speso centomila euro. Poi finalmente, superato l'ultimo scoglio dell'insegna luminosa (altra battaglia campale), la pizzeria Tango apre i battenti e fa subito ottimi affari. Se non fosse per i cosiddetti "lavoratori", si capisce. La prima commessa si ammala dopo dieci giorni: mai più vista. La sostituta, una studentessa, non vuol saperne di un contratto per motivi fiscali suoi. Poi c'è la Guardia di Finanza, che sulle quisquilie non perde un colpo. Un giorno la commessa regala una fetta di pizza a una bambina: multa di 516 euro per "mancata emissione del documento fiscale dell'importo di euro 1". La scena si ripete quando una cliente fugge lasciando lo scontrino sul bancone e viene pizzicata senza, all'uscita, dalle occhiutissime Fiamme gialle. La pizzaiola intanto resta incinta e si mette subito in malattia per "gravidanza a rischio". Poi però apre una pizzeria proprio davanti alla Tango e comincia beffardamente a lavorarci dall'alba a notte fonda, col suo bel pancione in primo piano. Prende due stipendi, uno dei quali rubato, ma l'Inps non fa una piega, l'Ispettorato del lavoro men che meno, il sindacato la protegge. E Gigi paga. Tenta di licenziarla, ma non c'è verso. Ormai va avanti a gocce di Gutron, sull'orlo dell'esaurimento nervoso. È a questo punto che la sua fede comunista comincia a vacillare. I "compagni" della Cgil lo trattano come un "padrone" e coprono la malata immaginaria che viola il contratto, fa concorrenza sleale al suo datore di lavoro e ha pure il coraggio di denunciarlo per averla licenziata. Gigi la rimpiazza col signor Giovanni, ma gliene andasse bene una: lavora un mese, per il resto è sempre in malattia, viene pagato per sette mesi, più tredicesima, quattordicesima, ferie non godute e liquidazione, ma non gli basta ancora: con l'ausilio dell'ennesimo "patronato dei lavoratori", denuncia Gigi per "inadempienze contrattuali".

Le gocce di Gutron aumentano. La nuova pizzaiola è siciliana: al suo paese lavorava in una panetteria, ma risultava bracciante agricola, così il padrone pagava meno contributi. Controlli? In Sicilia, nemmeno l'ombra. C'è chi, per molto meno, correrebbe a iscriversi alla Lega Nord. Gigi, che è un buono, si limita a chiudere bottega, per disperazione. Così l'Italia ha una piccola impresa in meno e cinque lavoratori disoccupati in più. L'ultimo sfizio del piccolo imprenditore prima di alzare bandiera bianca è quello di capire: è stato solo sfigato, o c'è dell'altro? È capitato solo a lui, oppure è così per tutti? Dall'Inps di Roma rispondono che nel 2003, su venti milioni di lavoratori assicurati, sono stati presentati dodici milioni di certificati medici per complessive sessanta milioni di giornate lavorative perdute. Non era sfiga, è il sistema. Gigi, anziché buttarsi a destra, è rimasto eroicamente comunista. Ma, questo sì, è capitato solo a lui.

giovedì 15 febbraio 2007

Cultura RAT


Nel commento al post precedente, un caro amico mi faceva osservare che la nostra generazione (anni 80) ha subito anche altri influssi meno POP e più RAT.
Allego una foto di un altro settimanale che sicuramente ha influenzato molto il nostro cervello e qualcosa in più!

mercoledì 14 febbraio 2007

Cosa c'è della cultura POP in me?


Leggendo l'e-mail che i Wu Ming mandano periodicamente agli iscritti, mi sono imbattuto in una lunga dissertazione sul concetto di mito e la necessità di appropriarsene modificandolo ciascuno a proprio piacimento.

Inoltre da quest'e-mail mi sono ricollegato ad un intervista che loro hanno rilasciato al prof. Henry Jenkins (massimo esperto mondiale di cultura pop che insegna al MIT) e di come la formazione pop ha influenzato la produzione letteraria degli stessi Wu Ming.

Da questi articoli mi sono reso conto che forse è veramente stupido rinnegare la propria formazione pop, anzi si dovrebbe esserne fieri e cercare di tramandarla, perché d'altronde è da essa che nascono i miti.
Allora ho iniziato a chiedermi cosa c'è di pop in me.
Io credo francamente che ciò che assimiliamo di pop lo facciamo negli anni adolescenziali fino alla maturità. E' in quella fase della vita che subiamo profondamente l'influenza dell'ambiente in cui viviamo e cerchiamo di metabolizzare tutto quello che vediamo o ascoltiamo.
Questo periodo, per quanto mi riguarda va dal 1973 al 1991 e pertanto significa anni 80.
E' con questi anni che la mia generazione deve fare i conti, perché in questi ci siamo formati.
La prima forma d'arte popolare con la quale sono venuto a contatto sicuramente sono stati i fumetti che ho divorato a iosa.
Ricordo in particolare, oltre a Tex, altri personaggi minori che per me avevano un'importanza ben superiore: "Il Comandante Mark" e "Zagor".
Facevano parte del cosiddetto fumetto western all'italiana, ma, a distanza di anni, mi sono reso conto che hanno istillato in me la passione per le storie avventurose che necessitavamo comunque di una collocazione storica.
Infatti una storia non può essere raccontata se non è contestualizzata storicamente.

martedì 13 febbraio 2007

Sono ziooooo!


Oggi è stata una di quelle giornate ad alta tensione, comunque è finita con due buone notizie...
le prospettive di comprare casa si fanno sempre più rosee e sono diventato zio!

Oggi è nato il mio primo nipotino, pesa 2.850 kg ed il parto di mia sorella è stato naturale.

Sono contento, ma sono pure stanco morto perciò me ne vado a dormire!

Buonanotte.

domenica 11 febbraio 2007

Italiani con la "I" maiuscola: Adele Faccio


Con questo post inizio a parlare degli Italiani con la "I" maiuscola, quelli cioè che danno un po' di fegato a questo paese ormai malato terminale, e che via via abbandonano questa vita.

L'8 Febbraio è morta Adele Faccio. Per sapere chi è stata cito testualmente l'articolo di Maria Laura Rodotà dal Corriere della Sera del 10/02/07.

Era, per chi la conosceva, «la buonissima Adele Faccio». Una signora non giovanissima già negli anni Settanta; per niente curata alla maniera delle politiche di oggi; pesantemente presa in giro perché non era una pinup, oggetto di continue battute per il suo nasone. Era, non c'è che dire, coraggiosa. Nel gennaio 1975, aveva già 54 anni, parlando a una manifestazione dei radicali al teatro Adriano di Roma raccontò di aver abortito. Allora l'aborto in Italia era un reato. Lei fu subito arrestata. Marco Pannella digiunò per la sua scarcerazione. L'aborto fu dichiarato parzialmente non incostituzionale dalla Corte l'anno dopo. La legge sull'interruzione volontaria di gravidanza fu approvata nel 1978. Oggi l'Adriano è una multisala, e di Adele Faccio non si ricordava più nessuno, fino a ieri. Adesso forse qualcuno/qualcuna saprà o si ricorderà chi è, e scoprirà un personaggio italiano anomalo; una donna di fondo quieta, parecchio avanti per i suoi tempi. Coltissima, determinata, indipendente e protestataria dalla nascita. «Tutti i bambini nascono facendo uè uè, ma tu sei nata gridando no!» scriveva in un suo libro, e parlava di sé stessa. Nata a Pontebba, in provincia di Udine, nel 1920, da madre piemontese e padre genovese anarchico, si era laureata a Genova in lettere, era stata staffetta partigiana, era andata a stare a Barcellona, vivendo con un pittore, partecipando alla vita culturale e alla resistenza contro Franco; appassionandosi alle forme di resistenza non violenta. Tornata a Genova nel 1953, si era messa a insegnare. E, raccontò poi un ex allievo «ha conquistato gli studenti. Ha parlato il linguaggio delle fabbriche. Ha parlato di antifascismo e di resistenza, di lotte per l'avvenire». Argomenti oggi demodé, da lei illustrati in perfetto francese. A pensarci, tutta la sua storia oggi è fuori moda, anche troppo. Salutati gli studenti, era andata a Milano, da prof militante a certificata bohémienne di sinistra. Bohémienne vera, non benestante curiosa: viveva in una sgarrupata casa di ringhiera, traduceva Che Guevara e gli scrittori sudamericani, scriveva su riviste culturali con nomi espliciti come «Il disincanto» o surreali come «Il canguro». Alla fine degli anni Cinquanta – non un periodo ideale per le madri singole - fece un figlio da sola. Non aveva voluto che il padre lo riconoscesse, e diceva: «Eravamo liberi tutti e due ma non ci sentivamo di sposarci, tutto qui». Tutto qui, o forse no; comunque tirò su il figlio da sola e quando arrivò il femminismo diventò femminista, anzi lo era sempre stata. Nel collettivo di Brera, nell'Aied, che propagandava la contraccezione, nella lega per il divorzio; e poi nel Cisa, centro italiano sterilizzazione e aborto, fondato nel 1973. In quegli anni molte ragazze di sinistra e non che avevano bisogno di abortire andavano a Londra se abbienti o «dai radicali» se meno abbienti o se non potevano dirlo ai genitori. Ma la fondatrice e presidente non faceva aborti, si faceva arrestare.
Arrivò apposta dalla Francia a Roma; passò trentaquattro giorni nel carcere di Santa Verdiana a Firenze, faceva propaganda tra le detenute, protestava perché al compagno di partito Gianfranco Spadaccia era permesso leggere i giornali e usare la macchina per scrivere mentre a lei era stato detto che essendo donna, l'unica macchina consentita era quella per cucire. Un anno e mezzo dopo era deputata radicale, insieme a Pannella e ad Emma Bonino. Seguirono alcuni anni di grande casino, proteste clamorose, imbavagliamenti in aula; per lei, erano soprattutto anni di battaglia per la legge sull'aborto. Rilasciava educate interviste in cui spiegava che era favorevole proprio perché non entusiasta della pratica, cercava di sensibilizzare l'opinione pubblica sugli aborti clandestini, fu delusa dalla versione finale della 194. La considerava poco rispettosa delle esigenze delle donne. Rimase in Parlamento senza troppo entusiasmo fino all'87. Ne uscì dopo anni di battutacce sul suo aspetto, e con l'artrite. «Colpa della funesta aria di Montecitorio», raccontava anni dopo in un'intervista. Funesta politicamente e umanamente, e pessima per la salute, «è tarata per seicento deputati mentre se va bene si è in sessanta e si gela». Era silenziosamente delusa, lasciata l'aria funesta non sentiva più gli amici radicali. Negli anni Novanta scriveva come sempre poesie (nel 1980, da innamorata, compose «Farfalla spaurita/le ali vibrano/come il cuore quando/fa qualcosa che incombe»); aveva ripreso a dipingere, aveva fatto delle mostre, diceva di non avere nostalgia della politica, anzi. E chi ha fatto politica con lei la ricorda appassionata e per niente astuta: «Era di un candore totale, non potevi volergliene anche se pensavi stesse dicendo una gran fesseria». E ora la ricorda con affetto anche chi, come Francesco Rutelli, col tempo ha cambiato idea. Lei fu benevola anche con lui, in un'intervista di qualche anno fa, spiegando che se ne era andato perché «spesso i giovani si scocciavano di Pannella». Era la buonissima Faccio, lei, la combattente non violenta per l'aborto, e ci aveva messo molto più tempo a scocciarsi.
Maria Laura Rodotà

Ciao Adele.
Stepniak.

"Penso di essere passionale perché sono pieno di speranza. Coraggioso proprio perché ho sofferto di timidezza. Ma soprattutto sono un uomo felice di esistere in questo momento. Felice di sentire la fatica del lavoro. Felice perché, quando si mettono cuore, ragione e volontà al servizio del popolo, si prova la felicità di rinascere."
Vìctor Jara

sabato 10 febbraio 2007

Italiani fottitori del 2007: Giancarlo Cimoli


Con questo post inizio una ricerca degli "Italiani fottitori del 2007", postando periodicamente i personaggi pubblici che si distinguono, tra la massa di "morti di fama", che meglio riescono a fottere lo "Stato Italiano".

Il primo dal quale parto è ovviamente Giancarlo Cimoli (per i dipendenti Alitalia "Giovanni Rana"), fresco ex-amministratore delegato Alitalia.
Dopo la retribuzione d'oro Cimoli riceve una liquidazione d'oro, 5 milioni di euro.

Breve cronistoria:
Giancarlo Cimoli nel 2004 venne nominato al vertice della compagnia Alitalia. Per il risanamento della compagnia aerea, Cimoli realizza il "Piano industriale 2005-2008", con l'obiettivo di riportare in attivo i conti a partire dal bilancio 2006. Dopo la semestrale in rosso rettifica la previsione, definendo l'utile un obiettivo non più raggiungibile. La gestione Cimoli non piace ai sindacati che hanno chiesto ripetutamente al governo il suo avvicendamento. Nel settembre 2006 il Governo Prodi avoca a sé la crisi della compagnia aerea.
Particolare scalpore desta la retribuzione annua di 2,800,000 euro ossia molto di più degli stipendi degli amministratori delegati di compagnie aeree in utile quali KLM (il quadruplo) e British Airways (il triplo).
Con questi risultati fallimentari alle spalle, Cimoli - Giovanni Rana - avrebbe ottenuto dal Tesoro una liquidazione da 5 milioni di euro e la garanzia di essere sollevato da qualsiasi azione di responsabilita' nei suoi confronti.

Signori io m'inchino a quest'uomo.
Pensate se voi riusciste a provocare il fallimento della vostra azienda e, grazie a ciò, ottenere una liquidazione di 5 milioni di euro!

Viva l'Italia!

"Tutti commettono degli errori in Italia…………………………………
per questo hanno creato le gomme sulle matite!"
Stepniak

venerdì 9 febbraio 2007

Foibe ed Emanuele Filiberto


Stamattina ho visto a "La Storia siamo noi" l'intervista ad uno dei sopravvissuti delle Foibe. La cosa agghiacciante è stato il terrore negli occhi di quell'uomo al ricordare gli avvenimenti e penso che non si discosti troppo dal terrore vissuto da Primo Levi ad Auschwitz e che inesorabilmente lo ha portato al suicidio.
Più vado avanti e più mi rendo conto che le colpe non hanno colori politici ma sono legate semplicemente alla banalità del male ed alla vigliaccheria infima dell'essere umano.
In nome di questa vigliaccheria noi italiani abbiamo subito per vent'anni la dittatura fascista appoggiata da una monarchia da quattro soldi.
L'ultimo pensiero lo dedico al principino Emanuele Filiberto che ha dichiarato che l'Italia è pronta per una Monarchia Costituzionale:
"Caro principino ricordati l'art.139 della Costituzione, se i tuoi desideri vuoi avverare la rivoluzione devi fare, e tuo padre ti deve aiutare, con il suo esercito di mignotte, papponi e pokerini. Goditi i tuoi miliarducci e non scassare i coglioni, tieni a mente che non conviene mai parlare troppo"


"Per me una persona eccezionale è quella che si interroga di continuo laddove altri vanno avanti come pecore."
George Brasseurs.

mercoledì 7 febbraio 2007

Un po' di musica cazzuta


Oggi in macchina mentre scarrozzavo allegramente (si fa per dire) tra Fondi e Cassino mi hanno tenuto compagnia un po' di mostri sacri dei miei albori metallari, della maturità rock e della delicatezza contemporanea.
Li ricordo affinché siano tenuti bene a mente:
1. Queensryche "Empire" (1990);
2. Jeff Buckley "Grace" (1994);
3. Damie rice "O" (2003).

martedì 6 febbraio 2007

Sarcofago


Il problema di questo paese di merda è che per fare ogni cosa tutto deve essere fottutamente complicato.
Voglio comprare una casa... un fottutissimo monolocale... eppure ci sono migliaia di problemi... sto facendo il calcolo delle rate del mutuo... e ad ogni calcolo il mal di testa aumenta... meglio che me ne vada a letto...

Mai come oggi è fondamentale Schopenauer...

"L’esistenza di un uomo trova il suo pieno appagamento nel superare gli ostacoli siano essi materiali (un’attività pratica qualunque) o spirituali (lo studio o l’indagine scientifica)."
Arthur Schopenauer “Aforismi per una vita saggia” Biblioteca Universale Rizzoli

lunedì 5 febbraio 2007

Correndo correndo mi ricordo di Diderot


Oggi è stata una giornata di fuoco.
Ho macinato i miei soliti 120 km dei giorni dispari, ma sento una carica nuova sempre più adrenalinica che non riesco a sedare.
Torno nell'altro ufficio e trovo una notizia positiva che mi fa ben sperare per domani... allora decido di fermarmi e scrivere sul blog.
Ma cosa è successo oggi per essere talmente importante da scrivere?
Allora inizio a sistemare un po' il blog iniziando a modificarlo in modo che rispecchi maggiormente la mia personalità e la mia storia.
Mi rendo conto che tutto è impossibile da condensare... allora mi ricordo del vecchio sito che avevo e dei momenti andati di sano e puro cazzeggio e mi rendo conto che li devo linkare assolutamente al blog!
Navigando nel mio vecchio sito ritrovo i miei cari aforismi ed allora capisco che lentamente li devo riportare qui, perché in essi vi sono tracce della mia storia e quindi ecco uno dei più profondi...

"Che faccia bello o cattivo tempo è mia abitudine andare a passeggiare ogni pomeriggio verso le 5 nei giardini del Palais-Royal. Intrattengo me stesso con la politica, l’amore, il gusto, la filosofia e abbandono la mente al suo libertinaggio lasciandola padrona di seguire ogni pensiero che le si presenti, saggio o folle che sia. E la mente si comporta come quei giovani dissoluti che corrono dietro alle ragazze con l’aria sventata, il volto sorridente, l’occhio vivace e il nasino all’insù, corteggiandole tutte senza attaccarsi a nessuna di loro. Ecco: i miei pensieri sono le mie puttane."
Denis Diderot “Le neveu de Rameau”.

domenica 4 febbraio 2007

Vi presento Stepniak (parte 2)



Beato Floriano Giuseppe (Florian Jozef) Stepniak Sacerdote e martire
Nato a Zdzary, 3 gennaio 1912 - Morto a Linz (Austria), 12 agosto 1942
Il beato Florian (al secolo Giuseppe Stepniak), sacerdote professo dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, nacque a Zdzary il 3 gennaio 1912 e morì a Linz, Austria, il 12 agosto 1942. Beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.
Il beato Floriano nacque a Zdzary, nei pressi di Nowe Miasto, il 3 gennaio 1912. I suoi genitori erano contadini e si chiamavano Paolo e Anna Misztal. Ricevette il battesimo il 4 gennaio 1912, con il nome di Giuseppe. La madre morí quando egli era ancora piccolo. Il padre si risposò. Terminata la scuola primaria a Zdzary, avvertí un forte desiderio di studiare e di diventare cappuccino. Grazie ai cappuccini di Nowe Miasto ultimò la scuola secondaria superiore e, successivamente, nel 1927, gli studi nel Collegio di S. Fedele dei cappuccini di Lomza. Di capacità mediocri, suppliva alle carenze con la diligenza e la laboriosità. Un suo compagno di studi, fr. Gaetano Ambrozkiewicz, lo descrive cosí: "Un'anima santa. Solidale, franco, allegro, eppure già allora un po' diverso da noi, ragazzi giocherelloni e con la testa fra le nuvole". Aderí al Terz'Ordine di S. Francesco quand'era allievo del ginnasio. In seguito si rivolse all'Ordine dei cappuccini di Nowe Miasto, presso i quali iniziò il noviziato il 14 agosto del 1931 e, insieme all'abito religioso, ricevette il nome di Floriano. Nel noviziato si distinse per il suo zelo, la generosità e la devozione. Fece la professione temporanea il 15 agosto 1932. Dopo aver terminato il corso di filosofia, il 15 agosto 1935 emise la professione perpetua. Continuò gli studi teologici a Lublino. Terminati questi, fu ordinato sacerdote il 24 giugno 1938. Dopo di che venne inviato alla Facoltà di Teologia dell'Università Cattolica di Lublino per studiare Sacra Scrittura. Allo scoppio della guerra, il 1° settembre 1939, si trovava a Lublino In quei giorni e mesi cruciali non abbandonò il convento al pari di altri, ma continuò coraggiosamente a confessare i fedeli. Per via delle persecuzioni, molti ecclesiastici si nascondevano e non c'era chi potesse seppellire i morti. Floriano se ne incaricò con grande coraggio e generosità. Non fece altro, in realtà, che mettere in pratica quella frase programmatica della vita religiosa che aveva apposto di suo pugno sulla immaginetta dell'ordinazione sacerdotale: "Siamo pronti a darvi non solo il Vangelo, ma la nostra stessa vita". Una frase che esprimeva l'essenza della sua vita. Non ebbe modo di operare a lungo a Lublino. Il 25 gennaio 1940, insieme a tutti i frati del convento, fu tratto in arresto dalla Gestapo e imprigionato nel Castello cittadino. L'arresto fu per lui uno schock, ma non crollò e non perse l'ottimismo e l'allegria che, in lui, erano innati. Il 18 giugno 1940, insieme ad altri confratelli, fu tradotto al campo di concentramento di Sachsenhausen. vicino a Berlino. Anche qui non perse il suo bonumore, benché la vita dei lager fosse cosí terribile. Il 14 dicembre 1940 fu trasferito al campo di concentramento di Dachau, dove gli fu dato il numero di matricola 22.738. I suoi confratelli prigionieri lo chiamavano "padre spirituale" del blocco dei condannati e "sole del campo".Il freddo lo afflisse fino a minare il suo organismo. Era un uomo di struttura forte e robusta, quindi necessitava di molto nutrimento. Alla debilitazione per fame si aggiunse la malattia. Nell'estate del 1942 si ammalò e fu ricoverato nell'ospedale del campo, la cosiddetta "corsia". In quel periodo tutti gli inabili al lavoro e gli infermi venivano destinati, come invalidi, al trasferimento dove c'erano "condizioni migliori". Lí venne destinato anche Floriano. Dopo alcune settimane, nonostante le razioni da fame e la degenza in ospedale, si rimise a sufficienza e fu dimesso. Ma non fu riportato nel suo blocco. In quanto convalescente fu trasferito nel blocco per gli invalidi (numero 29, dispari). Cosí ricorda il comportamento di fr. Floriano il suo compagno di sventura nel lager, fr. Gaetano Ambrozkiewicz: "Alcuni amici sacerdoti, riusciti a scampare al blocco invalidi, narrarono che fr. Floriano Stepniak aveva portato la luce a quell'infelice baracca. Gli uomini chiusi là dentro erano destinati a morire. Morivano di stenti a decine e numerosissimi venivano condotti via a gruppi non si sa dove. Soltanto in seguito si seppe che venivano eliminati nelle camere a gas nei dintorni di Monaco. Chi non ha provato il lager non ha idea di cosa significasse per quella gente, solo pelle e ossa del blocco degli invalidi, immersa in un'atmosfera di morte, una mite parola di conforto; che cosa potesse rappresentare per loro il sorriso di un cappuccino ridotto allo stremo come loro".Quando venne la volta della lettera "S" (il cognome era Stepniak), Floriano fu condotto al reparto degli invalidi, nonostante si sentisse ormai bene e fosse in grado di tornare ai lavoro. Fu ucciso con il gas il 12 agosto del 1942. Il corpo fu con ogni probabilità cremato nei forni. Le autorità del campo recapitarono ai genitori, a Zdzary, l'abito, avvertendoli malignamente che il figlio Giuseppe era morto di angina.
Fonte:
Santa Sede

Vi presento Stepniak (parte 1)


Sergius Stepniak (1852-1895), rivoluzionario russo, il suo vero nome era Sergius Michaelovitch Kravchinski. Nacque nella Russia meridionale da una famiglia nobile. Morì investito da un treno nei pressi di un passaggio a livello a Bedford Park, Chiswick, dove viveva, il 23 Dicembre del 1895.
Ricevette un'educazione di stampo liberale ed, alla fine degli studi, divenne un ufficiale dell'artiglieria.La sua simpatia verso la classe contadina, tra la quale aveva passato la sua giovinezza in campagna, sviluppò in lui prima ideali di democrazia e, successivamente, rivoluzionari. Insieme ad alcuni amici d'infanzia che avevano comunanza d'idee, egli iniziò segretamente a diffondere gli ideali democratici tra la classe contadina. I suoi insegnamenti non rimasero segreti a lungo e nel 1874 venne arrestato. Successivamente scappò dalla prigione ed iniziò una vera e propria lotta contro il potere e l'autocrazia. La sua personalità fu profondamente influenzata dall'indignazione verso i metodi brutali applicati dalla politica repressiva del regime zarista nei confronti dei movimenti rivoluzionari, ed in particolare verso i prigionieri politici. Ciò porto Stepniak ad avvicinarsi a coloro che propugnavano una forma di lotta più estrema di terrorismo politico. Le ripercussioni più immediate di tale scelta lo portarono nel 1880, a fuggire dalla Russia. Per un breve periodo egli soggiornò in Svizzera e successivamente a Londra. In Inghilterra acquisì notorietà grazie ad un suo libro "Underground Russia", pubblicato a Londra nel 1882. Successivamente scrisse altri libri sulle condizioni dei contadini russi, sul Nichilismo e sulla vita in Russia. Le sue idee gradualmente passarono dalla lotta violenta all'accettazione dei metodi costituzionali e nel suo ultimo libro, "King Stork and King Log", egli approvò gli sforzi dei politici russi liberali di applicare delle riforme. Stepniak, sia attraverso gli scritti che le letture, ha tentato di diffondere le sue idee sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, spendendo tutte le proprie energie e guadagnandosi la stima di molti intellettuali. Politicamente lo si avvicina ai movimenti socialisti e socialdemocratici dell'epoca, ma fu un uomo di profondi ideali di libertà e uguaglianza che ha sempre difeso in maniera disinteressata.


"L’uomo aspira a vivere ancora dopo la morte , ma come mai non si accorge che la memoria di una persona veramente buona vive sempre? Rimane impressa fortemente nella nuova generazione e viene tramandata ai figli. Non è questa un’immortalità degna di ogni sacrificio?"
Pëtr Alekseevic Kropotkin “Memorie di un rivoluzionario”

Mi presento


Salve,

oggi 4 Febbraio 2007, ho deciso di avviare il mio primo blog.

Penserete all'ennesima stronzata in giro nell'enorme pattumiera multimediale del web.

Forse è così, ma ho deciso anch'io di esserci, perché questo è l'unico spazio di vera libertà che ci è rimasto per esprimere noi stessi.

Ho deciso di lasciare i miei pensieri e le mie riflessioni giornaliere sul web cercando di lasciare qualcosa di me nel tempo.

Sento il bisogno di fissare il mio essere da qualche parte e forse questo è il posto giusto.

Oggi ho preso una decisione importante per la mia vita e per il mio futuro e spero che tutto vada bene.

Ho 33 anni e da 4 sono un microimprenditore che faticosamente tenta di costruire qualcosa.

Ho iniziato 4 anni fa insieme alla mia compagna che, strada facendo, è diventata mia moglie.

Abbiamo lasciato due lavori sicuri e ci siamo buttati in un'avventura che sta iniziando a dare i suoi frutti.

Piano piano e faticosamente stiamo tentando di creare il nostro spazio in questa società schifosa, dove riesci solo se hai una ricca famiglia alle spalle oppure le conoscenze giuste.

Oggi abbiamo deciso di dare una svolta importante alla nostra microsocietà e sentivo il bisogno di dirlo a qualcuno.

Questo blog non sarà un diario personale, ma una riflessione su ciò che accade dentro e fuori di me.

Il mio ultimo pensiero della giornata va all'Ispettore della Polizia Filippo Raciti, l'ennesimo martire della stupidità umana, che non abbiamo voluto salvare.

Adesso basta, è ora di riprenderci il nostro destino, eliminiamo il cancro della stupidità umana ed iniziamo dal veicolo principale di trasmissione: la televisione ed i politici.

In ogni post pubblicherò un'immagine che mi ha colpito durante la giornata.

La prima immagine la dedico ad uno dei più grandi artisti della storia del nostro paese che ci permette di essere orgogliosi quando dall'estero vengono ad ammirare i suoi capolavori.