Nessun politico italiano, durante il discorso della vittoria, si rivolgerebbe alla compagna della sua vita per confessare di non averla mai amata tanto e, addirittura, che tutta Italia è innamorata di lei. Nel Paese del punto G, ancora intriso di un maschilismo da operetta, l’uomo potente ritiene disdicevole esternare i propri sentimenti intimi. Di amore e dolore, queste due vibrazioni della stessa corda, non parla in pubblico, considerandola un’ammissione di debolezza. E l’unica donna di cui ritiene lecito discorrere è quella che gli fornisce il pretesto per una barzelletta volgare o l’argomento di un’allusione greve.
Barack Obama è un furbacchione formidabile, altrimenti non sarebbe dov’è e soprattutto non avrebbe postato sui social network, come primo dispaccio vittorioso, la foto di un abbraccio che in poche ore è già diventato l’icona di un’epoca. Ma anche al netto di qualche spruzzo di sana ruffianeria, la sua dichiarazione d’amore davanti al mondo ci ricorda che è la coppia, non l’individuo, la cellula-base dell’umanità. Gli americani non hanno eletto un Obama. Ne hanno eletti due. Perché dalla fusione fra la donna dei princìpi e l’uomo dei compromessi emerga ogni giorno un terzo Obama: il Presidente.
Massimo Gramellini
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