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venerdì 15 marzo 2013

Per il bene del Paese, riportate in India i nostri marò

Da Linkiesta di oggi

Stefano Casertano
La pubblicità negativa, con la nostra nomea di “italiani traditori”, rischia di rovinare gli accordi

I due marò La Torre e Girone devono tornare in India, e l’Italia deve trovare il prima possibile una scusa e cambiare idea rispetto alla scellerata decisione di trattenerli in Italia oltre il permesso concordato fino al 22 marzo 2013.

Sono certo che questa mia opinione si scontrerà con l’ondata di consensi vetero-populist-fascista generata dalla mossa voluta dal ministro degli Esteri per nomina, Giulio Terzi di Sant’Agata. Ma ci sono molti, troppi elementi che spingono a chiedere: metteteli su un volo e rispediteli indietro, prima che siano arrecati danni peggiori al nostro Paese.

Il primo elemento è di carattere legale. Il caso è estremamente ingarbugliato. Ci sono esperti pronti a garantire che la procedura indiana di arresto dei marò sia stata del tutto inaccettabile, e altri che sostengono come, in qualche modo, l’India avesse qualche base legale per arrestare i due marò.

Ma ciò che conta è: dove non arriva il diritto, intervengono i negoziati e la credibilità personale. Garantire “con la parola” che i marò torneranno, e poi tenerli a casa, non è accettabile. Al di là del merito legale: i patti si rispettano. La crisi è stata gestita evidentemente in maniera catastrofica dall’inizio alla fine, se una bega tragica - quanto piuttosto comune in campo militare - si sia trasformata in questo pastrocchio.

L’incompetenza italiana a gestire la crisi non deve essere nascosta dietro questi penosi richiami all’“orgoglio nazionale”. Se le questioni legali sono ingarbugliate, è necessario negoziare, non si può “tirare la sola” alla controparte. Possiamo aver ragione o torto, fatto sta che l’India pensa di avere ragione, e pensa di esser stata tradita. Questa azione stimola tutti i complessi d’inferiorità che l’India può nutrire nei nostri confronti, e ce la farà pagare.

Abbiamo poi perso credibilità non solo con l'India, ma con tutto il mondo. Se si dovessero ripresentare situazioni simili, in cui è in gioco la “credibilità italiana”, non avremmo niente da mettere sul piatto. La pubblicità negativa, con la nostra nomea di “italiani traditori”, ricadrà su tutti gli accordi e le attività commerciali che ci riguardano. Gli imprenditori che si vedranno negata una commessa per problemi di credibilità nazionale dovranno ringraziare Sant’Agata per il bel servizio.

C’è poi la questione degli altri italiani incarcerati in India. Il sistema giudiziario indiano è noto per una durata media dei dibattimenti pari a 4 minuti e 55 secondi, con l’Alta Corte di Delhi oberata da 466 anni di cause arretrate, e vari problemi di corruzione. Anche se lo standard è superiore rispetto a quello di altri paesi in sviluppo, ci possono essere questioni di arbitrarietà nelle decisioni – e di certo tutti gli italiani saranno trattati d’ora innanzi con un “occhio di riguardo”.

L’Italia non si può permettere un’azione simile, perché non è nelle condizioni politiche ed economiche per farlo. Per citare Carl Schmitt, “sovrano è colui che decide sull’eccezione”, implicando che solo gli Stati potenti se ne possono sbattere delle norme del diritto, o possono essi stessi imporre le regole, proprio perché sono potenti. L’Italia non è potente – facciamocene una ragione – e questa “politica estera da grande potenza” non ce la possiamo permettere. Peraltro siamo in una crisi economica spaventosa, e rinunciare all’India è un autogol clamoroso. Se qualche famiglia in più finirà per strada per la decisione di Sant’Agata, la colpa sarà di Sant’Agata.

Non abbiamo dietro di noi neanche una grande potenza che possa avallare le nostre azioni. Se gli Stati Uniti dovessero decidere di schierarsi tra India e Italia, non c’è dubbio che sceglieranno l’India, o al massimo si faranno gli affari propri. La Russia e la Cina non avrebbero alcuni interesse a sostenere la nostra posizione da formica urlatrice. Rischiamo di isolarci in nome di un ideale che costerà carissimo, e la cui giustificazione morale è tutta da dimostrare.

Consideriamo anche che Terzi di Sant’Agata non è un ministro eletto, ma nominato. Sant'Agata non si può permettere di gestire come res propria una questione così sublimemente politica, e con tanto personalismo. Voglio immaginare che la decisione sia dovuta a retaggio culturale da diplomazia d’antan, che ci porta però a concludere, ancora una volta, quanto sia assolutamente da evitare un ambasciatore nella posizione di Ministro degli Esteri.

C’è inoltre l’aspetto diplomatico. Un’azione simile non compie da soli: bisogna coordinarsi – come minimo – con le segreterie dei grandi Paesi. Bisogna preparare un report legale, bisogna avvisare e preparare. Non si dà un annuncio prima per Twitter, solo per poi giustificare le proprie ragioni qualche ora dopo, a danno effettuato - lasciando nell'imbarazzo le cancellerie di mezzo mondo all'arrivo della regolare e prevedibile telefonata indiana. Se l’Italia aveva le ragioni legali per chiedere il proscioglimento dei marò, con questa azione unilaterale il nostro governo ha scelto di passare automaticamente dalla parte del torto.

Possiamo solo pensare ora al bravissimo ambasciatore italiano Daniele Mancini: a Nuova Delhi è praticamente confinato nella sede diplomatica italiana, quasi come ostaggio, in attesa di essere rispedito in Italia tra gli insulti se il 22 marzo i due marò non saranno a New Delhi. Mancini è un uomo estremamente colto e sensibile, appassionato di rugby e autore di un libro di poesie cattoliche, nominato ambasciatore nel 2011 dopo vari distaccamenti dall’Iraq alla Romania. È tra i migliori ambasciatori che abbiamo, se non forse il migliore. È stato per tre anni consigliere diplomatico presso il Ministero dello Sviluppo Economico a Roma, e sa bene quanto siano delicate le negoziazioni commerciali – e quanto per esse conti la credibilità del paese. Siamo con lui in queste ore drammatiche.

In tempi normali non metteremmo mai il naso in questioni che riguardano internamente la Farnesina, ma in questo caso Terzi di Sant’Agata non agisce da ambasciatore, quanto da Ministro degli Esteri. Sant’Agata ha tirato proprio un bello scherzetto all’ambasciatore Mancini, che ha garantito l’operazione di licenza dei marò anche con la propria parola. Mancini ha perso credibilità per colpa del governo, così come tutto il paese, del resto.



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