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mercoledì 28 febbraio 2007

E' fatta, ci risiamo, ma siamo sicuri?


Sembrerebbe che il prodino nazionale ce l'abbia fatta al senato...
non ha dovuto fare nemmeno una seduta spiritica per resuscitare i senatori a "quasi" vita...
adesso il governo potrà proseguire per altri nove mesi...
almeno fino alla prossima votazione sull'Afghanistan...
adesso può ricominciare a metterci le mani nelle tasche...
ho sempre più sonno...
meglio che me ne vada a letto a vedere Sanremo...

"Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti."
Ettore Petrolini.

domenica 25 febbraio 2007

Il Tenente Giovanni Drogo ed il senso della vita...


Oggi sono andato da mia sorella a trovare il mio nipotino e l'ho preso in braccio per la prima volta. E' stata una bella sensazione prendere quel fagottino e coccolarlo, anche perché era tranquillissimo e mi guardava con quel senso di curiosità e smarrimento di chi è appena arrivato in un posto e non sa da dove viene e cosa deve fare.
Per una contemporanea casualità in TV oggi pomeriggio al programma televisivo "Per un pugno di libri" su Rai Tre uno dei due libri oggetto del gioco era "Il Deserto dei Tartari" di Dino Buzzati.
Dino Buzzati lo ritengo uno dei migliori scrittori italiani, sicuramente il migliore del suo tempo. Mi ha aiutato a crescere quando avevo un'eta molto critica, dagli 11 ai 13 anni, attraverso due testi fondamentali che il mio professore della scuola media aveva adottato come libri di narrativa: "Marcovaldo" e "Il Colombre e altri racconti".
Le sue storie hanno un profondo senso pedagogico, ci insegnano ad essere degli uomini ed a confrontarci con la realtà alienante di tutti i giorni.
Tuttavia "Il Deserto dei Tartari" è il libro che più si addice alla giornata odierna.
Solo poche parole su questo capolavoro che basta, da solo, a inscrivere Buzzati tra i più grandi narratori del '900, vicino a Kafka. ll suo romanzo è uno sguardo sull'ineluttabilità del tempo che scorre e sulla solitudine, forse anch'essa ineluttabile, dell'uomo.
Buzzati ci racconta la vita andata a male di Giovanni Drogo, inutilmente spesa nell'attesa assurda. La narrazione, dapprima lenta, accelera come un gorgo con la maturazione del protagonista, sottolineando e sostenendo il tempo non lineare, logaritmico, che fluisce insensibile e indifferente scandendo la vita del protagonista dapprima ignaro e poi tardivamente consapevole della corrente di vita e di morte che ci avviluppa. Come in Pavese, c'è nel "Deserto" un senso dell'infanzia e dell'adolescenza come età felici in cui il progetto-uomo è ancora possibile e aperto, in contrapposizione all'età matura, segnata dal tempo trascorso e dalle speranze sepolte. La morte è una presenza costante ma non cupa, non terribile. Nonostante l'assenza consolatoria di un dio o di una speranza ultraterrena, la morte è qui rappresentata come epilogo dignitoso e forse come eroico termine di tutte le sofferenze. Cupa e terribile può essere invece la vita quando ad essa non si è adatti, quando ad essa non ci si adatta.Singolare è l'uso dello spazio e del movimento come metafora: la frontiera a difesa del nulla, la fortezza in alto, che pare a volte allungarsi verso il cielo, immensa da lontano e singolarmente piccola da vicino, così come ci pare il tempo che ci separa dalla morte nelle differenti età che viviamo. Assurda è l'attesa infinita del nemico, o dell'evento che dona senso a tutta una vita, così come assurdo e quasi surreale è il fascino sottile che incatena a così inutile attesa . Surreale è ancora l'incontro moltiplicato, come attraverso un gioco di specchi, tra il vecchio capitano e il giovane tenente fresco di assegnazione: l'evento, nella sua assurdità ripetuta e assurdo nel suo ripetersi forse infinito, sottolinea una ciclicità che non può rimandarci al ciclo eterno e conosciuto di giovinezza, vecchiaia, morte.
Grande, grandissimo narratore, Buzzati tocca e scandaglia la coscienza dell'uomo moderno per lasciarci il senso dell'assurdo, la cifra del tempo e della solitudine che scontiamo, anche senza saperlo.

"Se durassimo in eterno, tutto cambierebbe. Siccome siamo mortali, molto rimane come prima."
Bertolt Brecht

venerdì 23 febbraio 2007

Un altro Italiano che se ne va...


Un altro Italiano con la "I" maiuscola se ne va. Un altro pezzo di cultura laica abbandona la società italiana sempre più alla deriva clerico-populista.
Ecco una brevissima biografica da "Repubblica" di oggi.

E' morto stamattina Giovanni Ferrara, per molti anni editorialista di "Repubblica", più volte parlamentare repubblicano, tra i più stimati intellettuali laici italiani, negli ultimi anni appassionata voce della sinistra più indipendente e critica. Ma, con la politica, la sue vere vocazioni sono state l'insegnamento e il colloquio con i giovani.

Ed è stato parlando ai giovani, sabato scorso, che si è sentito male a Pavia, nel corso di una serata della Scuola di formazione politica di "Libertà e Giustizia". Si è alzato, ha chiesto la parola e ha fatto un intervento - molto applaudito - per chiedere che la sinistra non si dimentichi degli ultimi, che abbia anzitutto a cuore il destino di chi ha una vita non facile, che non tradisca mai la sua storia. Si è seduto, ha mormorato "C'e qualcosa che non va" e ha guardato per l'ultima volta la compagna della sua vita, Sandra Bonsanti, che di "Libertà e Giustizia" è la presidente. Poi ha perso conoscenza ed è stato portato al Policlinico San Matteo dove gli è stata diagnosticata una grave emorragia cerebrale. Con lui, in questi giorni di agonia, sono sempre stati i figli Valentina e Benedetto, giornalista di "Repubblica".


Giovanni Ferrara viveva da molti anni a Firenze, in Oltrarno, ma era profondamente legato alla sua città, Roma, dove era nato nel 1928. Una famiglia che ha segnato il '900, quella dei Ferrara. Il padre Mario, avvocato e antifascista, fu collaboratore e amico di Giovanni Amendola. Il fratello Maurizio, nato nel 1921 e scomparso alcuni anni fa, inviato a Mosca e poi direttore dell'"Unità", era tra i più ascoltati collaboratori di Palmiro Togliatti. Due nipoti, Giuliano e Giorgio, sono rispettivamente fondatore del "Foglio" e notissimo polemista il primo, apprezzato regista teatrale e cinematografico l'altro.

Giovanni Ferrara dedicò invece gran parte della sua vita allo studio e all'insegnamento, soprattutto con la docenza di Storia Antica all'università di Firenze. Tra i molti saggi, i più importanti furono su Giulio Cesare e Tucidide.

Come pubblicista collaborò con il "Mondo" di Pannunzio, passando poi a "l'Espresso" di Arrigo Benedetti e di nuovo al "Mondo"quando Benedetti tentò di ridare vigore da Firenze alla storica rivista. Fu anche direttore della "Voce Repubblicana" negli anni Settanta. Amico fin dall'adolescenza di Eugenio Scalfari, dalla fondazione di "Repubblica" entrò nella squadra degli editorialisti del giornale.

Nel 1983 scrisse per la Rusconi "Apologia di un uomo laico". Negli ultimi anni ha pubblicato per Sellerio i racconti "Il senso della notte", "La visione" e "La sosta". Uscirà tra breve, postumo, un libro dedicato proprio al fratello Maurizio.

L'attività politica. Laico intransigente, fu per molti anni dirigente del Pri, vicino a Visentini e Ugo La Malfa. Nel 1991 venne eletto al Senato a Milano, subentrando a Giovanni Spadolini, nominato senatore a vita. L'anno dopo venne rieletto al Senato a Firenze, sempre per il Pri.

Nel '94 ruppe con Giorgio La Malfa, di cui era stato il più ascoltato consigliere, perché coinvolto in Mani Pulite, e si schierò più a sinistra. Entrò in consiglio comunale a Firenze, dove per il Pri restò dal 1990 al 1995, poi diventò direttore del Circolo Viesseux, una delle principali istituzioni culturali fiorentine, in qualche modo continuando l'attività di Alessandro Bonsanti, padre di Sandra, animatore della vita culturale e letteraria italiana e infine sindaco della città

Dal '96 visse per qualche anno a Livorno dove Sandra Bonsanti, per molti anni inviato e commentatore politico di "Repubblica", era stata chiamata a dirigere il "Tirreno". E sempre con Sandra ha seguito fino all'ultimo da vicino "Libertà e Giustizia", argine culturale e di movimento alla deriva berlusconiana, giudicata da Ferrara un pericoloso populismo capace di degenerare in forme di democrazia autoritaria.

"Il sole può tramontare e poi risorgere; noi, invece, una volta che il nostro breve giorno si spegne, abbiamo davanti il sonno di una notte senza fine."
Catullo

mercoledì 21 febbraio 2007

E' finita anche questa...


Oggi pomeriggio mentre il governo "fatalmente" cadeva ero casualmente a Roma ad una riunione di lavoro tra imprenditori.
Il boato con cui le persone attorno a me hanno accolto la notizia della fine del prodino nazionale ha creato un'atmosfera surreale.
Francamente sono allibito, non so più cosa pensare, il solo pensiero di ritornare nelle mani del berlusca oppure di creare una brutta copia della grosskoalitionen tedesca che riporti in auge i fasti democristiani dei grandi inciuci mi spinge a fare le valigie il prima possibile ed emigrare all'estero.
Siamo un paese di 57 milioni di pazzi il cui destino per l'ennesima volta è stato deciso dal non voto di Andreotti (con l'aggiunta di Pininfarina).
Adesso me ne vado a dormire distrutto fisicamente (per l'ennesima giornata lavorativa) e moralmente (perché anche la moralità è morta dopo la fine definitiva dell'etica).
Adesso come disse il grande Marchese del Grillo: "Sò cazzi vostri!".
Buonanotte.

martedì 20 febbraio 2007

Manituana, il mito continua...


Il 20 Marzo 2007 esce il nuovo romanzo collettivo di Wu Ming.
Per chi non li conoscesse può linkare qui a fianco ed entrare nel loro mondo.
Ritengo in assoluto che il collettivo di scrittori rappresenti ciò che di meglio il panorama letterario può offrire in campo nazionale e, forse, internazionale.
Chi non li conoscesse può iniziare leggendo "Q" il loro primo romanzo collettivo scritto con lo pseudonimo di Luther Blissett.
Nel frattempo andate a vedere il sito che hanno dedicato al nuovo libro "Manituana" Innanzitutto nel corso del 2006 hanno pubblicato una serie di "prolegomeni", ossia racconti collaterali al testo vero e proprio, che ci permettono di iniziare a conoscere il contesto storico nel quale saremo proiettati nel romanzo.
La cosa bella dei romanzi di Wu Ming è la rigorosissima precisione del contesto storico nel quale ci si muove, che costituisce un affresco fondamentale per poter capire la storia dei personaggi, il loro ruolo e le conseguenze delle azioni.
Andate su www.manituana.com

domenica 18 febbraio 2007

Paparazzi e Papa Ratzinger


Il post della giornata lo dedico al nostro beneamato pontefice, che colloco, idealmente, a 407 anni fa.
Ritengo praticamente che Papa Ratzinger avrebbe potuto esercitare tranquillamente il suo pontificato nel 1600, stante la sua completa distanza dal mondo attuale.
Fermo restando che lo ritengo uno dei più grandi teologi e filosofi contemporanei (chi è del settore ricorderà le sue mitiche discussioni su Micromega con Paolo Flores D'Arcais), non riesco assolutamente a capirlo.
Probabilmente non devo nemmeno capirlo perché lui fa semplicemente il suo lavoro di Papa, tuttavia mi piacerebbe che fosse più una guida spirituale che sociale.
Parliamoci chiaro e tondo, non abbiamo bisogno di preti che c'insegnino come vivere, piuttosto abbiamo bisogno di preti che c'insegnino ad amare e ad affrontare dignitosamente la nostra fine perché dovrebbe esserci qualcosa dopo.
Il problema è che in questa Chiesa sempre più vecchia non trovo nessuno stimolo, nessuna voglia di ascoltare, ma solo di rimestare nel vecchiume ammuffito dei dogmi.
In una società sempre più nichilista che si affanna a vivere di cose superflue ed inutili, dove anche i sentimenti ormai sono una merce da vendere, le gerarchie ecclesiastiche assumono sempre più posizioni radicali senza se e senza ma.
L'unica cosa che riescono ad ottenere è un allontanamento sempre maggiore anche dei pochi cattolici rimasti, ovviamente senza considerare i cattolici di convenienza.


"Le religioni sono come le lucciole: per splendere hanno bisogno delle tenebre."
Arthur Schopenhauer

sabato 17 febbraio 2007

407 anni e non è cambiato nulla...


Su "Repubblica" di oggi è comparso un necrologio che ricordava il 407esimo anniversario della morte di Giordano Bruno il filosofo (non il calciatore) arso vivo a Piazza Campo dei Fiori a Roma il 17 Febbraio del 1600 per aver semplicemente affermato che "Dio è in ognuno di noi".
Cosa dire... con i tempi che corrono è meglio parlare poco, ma la lieta notizia è che questo necrologio è stato pubblicato su "Repubblica" da un gruppo di allievi di un Liceo della Sardegna che si sono appassionati alla vicenda di questo grande pensatore durante le lezioni di filosofia.
Adesso non so quanto tutto ciò possa essere stato strumentalizzato da qualcuno, ma mi fa particolarmente piacere il fatto che una ventina di ragazzi si siano autotassati otto euro ciascuno (rinunciando a ricarsi il cellulare o al cinema) per ricordare questo uomo immenso che a pieno titolo annovero tra i padri fondatori della filosofia moderna.
Questo mi fa sperare che le nuove generazioni siano decisamente migliori delle precedenti e che qualcosa stia ricominciando a girare nelle teste delle persone e che la FILOSOFIA riprenda il suo ruolo di scienza guida nella nostra vita così come lo era all'epoca di Socrate quando l'Oppio dei Popoli non li aveva ancora drogati.
La cosa che mi fa tristezza è l'attualità del pensiero di Giordano Bruno, che significa 407 anni di storia passati inutilmente...

"L'ignoranza è la madre della felicità e della beatitudine sensuale."
Giordano Bruno