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mercoledì 7 marzo 2007

E' morto Baudrillard


Oggi c'è stata una grossa perdita per l'umanità intera: è morto Jean Baudrillard, uno dei più grandi filosofi esistenti ancora in vita.
E' stato uno dei pochi che, sempre in controtendenza con i tempi che corrono, ci ha ricordato che l'attualità va osservata e non vissuta, perché la spiegazione scientifica, la razionalità e la religione arrivano ad un punto oltre il quale non possono fornire più nessuna spiegazione.
Di seguito il coccodrillo apparso oggi su Repubblica scritto da Franco Volpi (eminente filosofo italiano massimo esperto di Schopenauer).

Era uno degli ultimi maîtres-à-penser ancora lucidi e attivi della generazione intellettuale postsartriana, pronto a intervenire nelle questioni più scottanti dell'attualità. In presenza di un fenomeno nuovo da interpretare, quando scoppiava un caso, se sopraggiungeva qualcosa di straordinario, un fatto o un evento di fronte a cui l'intelligibilità assicurata dalle normali categorie dell'analisi sociale vacillava, Baudrillard era tra i primi a prendere la parola e ad arrischiare una lettura, un'ipotesi, un'interpretazione.
Germanista di formazione, aveva trascorso qualche anno in Germania dedicando tra l'altro alla traduzione in francese di testi di Hölderlin, Peter Weiss e Bertold Brecht. Tornato in Francia, nel 1966 era stato chiamato da Henri Lefebvre come suo assistente all'università di Paris-Nanterre, avvolta in clima surriscaldato per il montare della protesta studentesca e l'affermarsi della rivoluzione sessantottina. La sua tesi di dottorato, Le système des objets, è lavoro sociologico a suo modo geniale e innovativo, ma eccentrico rispetto ai canoni della disciplina e insufficiente ad aprirgli la carriera universitaria.
Dopo un periodo passato a insegnare tedesco nelle scuole, Baudrillard fu nominato docente di sociologia, acquistando carisma e autorevolezza, ed essendo invitato a tenere lezioni e conferenze nelle principali università europee e americane. Ma dovettero trascorrere ben due decenni prima che nel 1987 la sua thèse d'état, con cui divenne professore a pieno titolo, fosse accettata e presentata da Georges Balandier alla Sorbona. Fu un riconoscimento tardivo, che non gli fornì il motivo per impegnarsi nella vita accademica bensì il pretesto per allontanarsene definitivamente e dedicarsi alla propria attività di libero scrittore e analista, dirigendo tra l'altro la rivista Traverse.
I suoi saggi - incisivi e strutturati i primi, poi sempre più fulminanti e istantanei, ma di corto respiro e a volte di una dogmatica vaghezza - hanno comunque segnato in modo profondo la vita intellettuale contemporanea e la rappresentazione culturale del nostro tempo. Penso per esempio a L'échange symbolique et la mort, uscito nel 1976, che analizza il sistema dei segni, la loro funzione sociale, il loro inesausto e infinito richiamarsi in un vuoto e inane rispecchiamento di valori simbolici che risucchiano e consumano le cose. Con la nascita dell'illusione di uno scambio simbolico infinito, in cui i segni fagocitano e dissolvono le realtà significate, ormai incapaci di resistere all'urto dell'onda irreale. E in cui il discorso diventa, anziché la tematizzazione di un referente oggettivo, un satellite dell'immaginario.
Passando in rassegna fenomeni che si impongono con "oscena evidenza", come la moda o lo sfruttamento dei corpi nella pubblicità, Baudrillard si erge a lungimirante analista di un mondo, quello postmoderno, o "post-istorico" come preferiva dire (L'illusion de la fin, 1992), che presto sarebbe stato permeato dal virtuale, e in cui già lui vedeva prevalere e dominare l'irrealtà sulla realtà, cioè la parvenza e i simulacri sulle cose. Solo la morte - sosteneva allora - potrebbe offrire un arresto alla espropriazione e alla perdita di senso che ha luogo nella circolazione dell'irreale senza senso, duplicabile, riproducibile ed espandibile all'infinito.
Questo spiraglio di senso, che sarebbe stata la morte, veniva definitivamente chiuso in un altro suo celebre lavoro: Les stratégies fatales, apparso nel 1983. L'accelerazione dei processi sociali di scambio e di circolazione dell'irreale è qui dichiarata ormai un processo inarrestabile, ingovernabile, fatale. Alimentata dai meccanismi del desiderio, della seduzione e del consumo, in cui i soggetti diventano pedine impotenti di un gioco sistemico che non solo non riescono più a governare, ma da cui sono inesorabilmente governati, l'irrealtà, cioè la virtualità, dilaga in modo incontenibile e incontrollabile. Senza la possibilità di congetturare né un happy end né qualcosa come un buco nero sociale in cui l'ordine attuale imploda.
Tanto più sorprendente è stato perciò il suo instancabile stare a ridosso del Nuovo che emergeva, offrendo scorci, spunti, intuizioni e analisi, che solo in apparenza si presentavano come disparate o perfino svogliate, ma che in realtà testimoniano di un impegno costante, diventato uno stile di vita e di pensiero.
Ma che fare? Anzi, che dire? Quale prassi e quale teoria sono praticabili di fronte all'odierno spettacolo della società globalizzata e informatizzata? Di fronte all'evaporare e al dissolversi sempre più evidenti del reale nel virtuale? Negli ultimi tempi - diciamo a partire dal brevissimo ma folgorante Amérique (1986) per arrivare alla sequela delle Cool Memories (I-V, 1980-2005) - Baudrillard aveva preferito come strategia di analisi il diario, il racconto del proprio transitare di esperienza in esperienza, di osservazione in osservazione. Forse per un vezzo letterario, in cui il rigore dell'analisi inclina e si piega all'estetica della scrittura. O forse perché l'unico modo per attraversare la nostra realtà ormai refrattaria a ogni tentativo di trasformazione consapevole e guidata, e perfino a ogni speranza di senso e di intelligibilità, è il "puro viaggiare". Il semplice stare a guardare e scrutare, senza pretendere di giudicare e tanto meno di discriminare il Bene dal Male, come Baudrillard scrisse con coraggio dopo l'11 settembre (L'esprit du terrorisme, 2002). Il puro osservare, il semplice posarsi dell'occhio sulle cose, per prendere parte al Nuovo e fruirne. Senza nostalgie né rimpianti per il passato lasciato alle spalle e definitivamente trascorso, senza speranze per il futuro che incombe.
C'è qualcosa che possiamo dire di avere imparato da tale controverso maestro cui è stato dedicato perfino un Cahier de l'Herme (2005), tanto intuitivo e preveggente quanto vago e volatile? Certo, almeno questo: che quando le cose sono soltanto quello che sembrano, presto ci sembreranno essere ancor meno. E che in un mondo del genere non ci rimane che essere indifferenti senza cinismo e appassionati senza entusiasmo.

"Il corpo è vezzeggiato, coccolato, nella certezza perversa della sua inutilità, nella certezza totale della sua non-risurrezione."
Jean Baudrillard.

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